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venerdì, 2 marzo 2012 - 13:00

Cinecomics n. 14: Sin City

Un hard boiled pulp post-moderno venato di atmosfere noir, contaminazioni dark, violenza esasperata, compiaciute spruzzate di splatter, umorismo cinico, una caratterizzazione dei personaggi estremizzata al limite del caricaturale e una veste grafica rivoluzionaria con un uso innovativo del bianco e nero. Sono questi gli elementi che hanno reso Sin City un’opera fondamentale, il fumetto cult degli anni ’90, secondo molti il capolavoro assoluto partorito dal genio creativo di Frank Miller, ancor più de Il ritorno del Cavaliere Oscuro con il quale, negli anni ’80, aveva aggiornato in modo radicale il mito di Batman.

Concepita come un’unica graphic novel divisa in episodi, tasselli di un unico grande mosaico, e pubblicata dalla Dark Horse a partire dal ’91, Sin City, la “Città del peccato” come viene ribattezzata la corrotta Basin City, è un luogo in cui il confine tra il bene e il male è indefinito e il bianco e nero utilizzati dall’autore s’intersecano non solo in un simbolico gioco di luci e ombre quanto piuttosto per una scelta stilistica atta ad esaltare un dato dettaglio attraverso il contrasto cromatico. Emergono così dalle tavole di Miller uomini duri, “al limite”, che si aggirano tra i vicoli disperati della giungla urbana alla ricerca di vendetta e giustizia, sotto una bianca pioggia battente che lava via il nero inchiostro delle tavole.

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La narrazione disincantata, malinconica, a tratti romantica, è fornita dalla voce fuoricampo dei protagonisti, poliziotti incorruttibili, psicopatici ed ex-delinquenti con un proprio codice d’onore. Li affiancano prostitute e spogliarelliste che possono rivelarsi guerriere ultrasexy per affrontare i giochi di potere della famiglia Roark, composta da uomini politici ed eminenze grigie ecclesiastiche con la forza di polizia ai propri ordini. Un percorso violento, sanguinoso, senza via di redenzione ma abbastanza sopra le righe nel tono del racconto e nell’aspetto grafico da essere surreale, divertito ed avvincente. Qualcosa di assolutamente unico nel suo genere.

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Grande ammiratore della serie, Robert Rodriguez, regista americo-messicano di pulp, horror e film di fantascienza per ragazzini, nei primi anni del duemila desiderava curare una trasposizione cinematografica. Reduce da pessime esperienze hollywoodiane come sceneggiatore di Robocop 2 e 3, rimaneggiati e portati malamente sul grande schermo, Miller era restìo a cedere i diritti di Sin City ma Rodriguez lo tallonò per tentare di convincerlo. Il suo proposito non era quello di realizzare un adattamento, quanto piuttosto una “traduzione”. Intendeva concretizzare e animare le vignette lasciando inalterati stile, inquadrature e trama. Un cinefumetto nel vero senso del termine.

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Dopo aver visionato le prime immagini concettuali, Miller si convise ad assistere alle riprese di una scena di prova tratta dalla storia breve “Il cliente ha sempre ragione”, con Josh Hartnett nel ruolo del killer a pagamento e la bellissima Marley Shelton nei panni della cliente. Realizzata in appena dieci ore, la sequenza risultò efficace e suggestiva, pressochè identica al fumetto, con la scenografia aggiunta in digitale e l’uso del colore rosso per esaltare il costume e le labbra della donna in contrasto al bianco e nero dominanate, esattamente come aveva fatto Steven Spielberg con il cappottino della bimba ebrea nel suo Schindler’s list. La scena venne poi utilizzata come prologo del film.

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Persuaso anche da un cast di grandissimi attori fortemente somiglianti alle controparti fumettistiche, Miller decise di partecipare alla produzione come sceneggiatore e co-regista. Rodriguez fu così costretto a dimettersi dalla Directors Guild of America che proibiva la direzione in coppia. Le riprese ebbero inizio il 29 marzo del 2004 con un budget di 40 milioni di dollari. Il film fu uno dei primi in assoluto ad essere girato quasi totalmente in digitale con l’uso del green screen insieme ad Immortel (Ad Vitam), diretto dal francese Enki Bilal, autore anche della bande-dessinée originale; Casshern (Kyashan), dall’anime di Tatsuo Yoshida; e Sky Captain and the world of tomorrow che pure ha una forte impronta fumettistica. Per Sin City vennero costruiti solo tre set: il bar di Kadie, parte dell’appartamento di Shellie, interpretata dalla compianta Brittany Murphy, e il corridoio d’ospedale usato nell’epilogo.

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Oltre a “Il cliente ha sempre ragione”, vennero scelte tre storie della saga da intrecciare nella pellicola. La prima, “Quel bastardo giallo”, è divisa in due parti. John Hartigan, interpretato da un granitico Bruce Willis, è uno sbirro onesto dal cuore malandato che, alla vigilia del pensionamento, salva la piccola Nancy dal tentativo di stupro di Roark Junior, intoccabile figlio di un politicante. John centra il pervertito con diversi colpi di pistola ma viene tradito dal collega Bob, che ha il volto di Michael Madsen. Al termine di questa prima parte, Hartigan sembra restare ucciso per la salvezza di Nancy. “Un vecchio muore, una ragazza vive.” dice la sua voce fuoricampo. “Uno scambio equo.” Da sottolineare gli scagnozzi di Roark con “la mania di parlare forbito”, una delle tante caratterizzazioni grottesche tipiche dei villains da fumetto pulp.

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Il secondo segmento è tratto dalla prima storia pubblicata nella serie a fumetti semplicemente con il titolo “Sin City” e ristampata come “The hard goodbye”, ovvero “Un duro addio”. Marv, interpretato da uno straordinario Mickey Rourke, è un duro con precedenti penali, affetto da confusione mentale, che viene incastrato per l’omicidio della prostituta Goldie di cui era invaghito. Tipico antieroe, un fallito incapace di trovare il suo posto nel mondo, Marv si scontra con la polizia sfoggiando qualità fisiche che hanno quasi del sovrumano, proprie dei supereroi, capace di effettuare balzi prodigiosi, sfondare porte di metallo, sopravvivere a qualsiasi schianto, a colpi di proiettile e perfino alla sedia elettrica.

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Marv trova aiuto prima da Lucille, garante per la libertà vigilata e sexy lesbica interpretata da Carla Cugino, e poi da Wendy, la bellissima Jaime King, sorella gemella di Goldie. La confusione mentale porta Marv a confondere continuamente Wendy con la defunta sorella, un espediente per mettere il protagonista di fronte al “fantasma” della donna da lui idealizzata. Una pista conduce Marv da Kevin, un inquietante Elijah Wood, un giovane cannibale, collezionista di teste femminili, dotato di un’agilità felina e di unghie lunghe ed affilate, peculiarità che rendono anche questo personaggio bizzarro come un villain di Dick Tracy o di Batman. A tirare le fila del complotto è il cardinale Roark, un disturbante Rutger Hauer. In questo episodio c’è spazio anche per un cameo di Frank Miller nel ruolo di un prete.

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Il terzo episodio è la trasposizione di “The Big Fat Kill”, tradotto con “Un’abbuffata di morte”. Jackie Boy, straordinariamente interpretato da un antipatico Benicio Del Toro, ha il vizio di molestare le prostitute, finché una di loro, l’asiatica ninja Miho lo uccide. Quello che le ragazze non sanno è che Jackie Boy è un poliziotto e la sua morte potrebbe mettere fine all’esile tregua tra le prostitute e le forze dell’ordine. Dwight, un imperturbabile Clive Owen, amico delle prostitute ed innamorato di Gail, la supersexy Rosario Dawson, s’incarica di far sparire il corpo. A mettergli i bastoni tra le ruote per favorire la guerra è il perfido Manute, il gigantesco Michael Clarke Duncan, somigliantissimo al personaggio del fumetto. Per quel che riguarda l’uso del colore nel film, Manute è qui caratterizzato da un occhio d’oro e viene esaltato l’azzurro degli occhi di Becky, giovane prostituta interpretata da Alexis Bledel, traditrice del gruppo.

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É l’episodio più giocoso, con scene d’azione splatter e gag surreali. Una su tutte, uno scagnozzo di Manute che viene trafitto da due frecce, al corpo e alla testa, e si comporta come se fosse una noiosa seccatura. La scena in cui Dwight ha un’allucinazione mentre è al volante e parla con il cadavere di Jackie Boy è stata girata da Quentin Tarantino, proprietario della Troublemaker, casa di produzione del film, nonché amico di Rodriguez oltre che appassionato del genere, come si evince dal suo Pulp Fiction, al quale la struttura narrativa ad incastro di Sin City si rifà in modo evidente. Inoltre, le spade utilizzate da Miho appartengono alla collezione personale di Tarantino e sono le stesse usate nel suo Kill Bill per il quale Rodriguez aveva composto alcune musiche per la cifra simbolica di un dollaro. Tarantino partecipò a Sin City per la stessa somma come segno di riconoscenza.

Dopo i due episodi centrali, si torna a quello iniziale. Scopriamo che Hartigan è sopravvissuto ma è costretto a prendersi la colpa degli stupri per salvaguardare Nancy. Uscito dal carcere dopo otto anni, la ritrova cresciuta e spogliarellista, con il corpo sensuale e l’atteggiamento dolce di Jessica Alba, ancora perseguitata da Roark Junior, trasformato da una serie di operazioni chirurgiche in un essere grottesco e puzzolente, il cui marciume interiore viene esteriorizzato nel colore giallo della pelle. Ancora una volta, Hartigan salva Nancy e di nuovo, per tenerla al sicuro, è costretto al sacrificio. La seconda parte si conclude così come la prima. “Un vecchio muore, una ragazza vive. Uno scambio equo.” Dei tre è sicuramente il racconto più duro e quasi del tutto privo di ironia.

l film fu presentato in concorso al Festival di Cannes 2005 al quale partecipò anche il cinecomic A History of a Violence, diretto da David Cronenberg, unanimemente apprezzati dalla critica ma snobbati dalla giuria. Sin City uscì nelle sale il 1 aprile rivelandosi un fiasco al botteghino americano e incassando in tutto il mondo la mediocre cifra di quasi 159 milioni di dollari. Alcuni criticarono l’estremo rigore stilistico di un’opera così controcorrente, non adatta al pubblico tradizionale ma apprezzata soprattutto dagli esteti e dal ristretto fandom del fumetto capace di riconoscere il particolare linguaggio narrativo pop post-moderno.

In USA è uscita anche una versione in dvd “Recut-Extended-Unrated” che presenta i quattro episodi del film separatamente, ciascuno col proprio titolo, con scene aggiunte e senza censure. Fin dal 2006 è inoltre previsto un sequel tratto da altre storie della serie a fumetti ma che dovrebbe essere basato anche su nuovi racconti scritti appositamente da Miller per la pellicola. Dopo diversi rinvii, Angelina Jolie, prevista inizialmente nel cast, ha dovuto rinunciare e, tranne incontrollate voci di corridoio, non è dato sapere quale sia oggi lo status della produzione.

Autore Articolo

- Reporter freelance, critico cinematografico e fumettistico, ambisco a lavorare per il Daily Planet.

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