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venerdì, 25 maggio 2012 - 20:52

Cosmopolis – Recensione

C’è stato un tempo in cui il solo nominare “David Cronenberg” provocava brividi di eccitazione. Autore di storie bizzarre, regista di pellicole eccentriche, fautore di universi meticci, Cronenberg si è subito distinto nel panorama cinematografico per la sua stravagante visionarietà. Dopo aver scritto importanti pagine della storia del cinema, Cronenberg ha realizzato la “trilogia della violenza”, un trittico di pellicole che hanno teorizzato l’importanza capitale di lenire e soffocare, quanto più possibile, il dolore.

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Cosmopolis

Titolo originale: Cosmopolis
Genere: Fantastico – Drammatico
Regia: David Cronenberg
Interpreti: Robert Pattinson, Jay Baruchel, Paul Giamatti, Kevin Durand, Juliette Binoche, Samantha Morton
Provenienza: Francia, Canada, Portogallo, Italia
Durata: 109 min.
Casa di produzione: Kinology, Alfama Films, Prospero Pictures, Rai Cinema
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Data di uscita: 25 maggio 2012 (Italia)


Negli ultimi tempi, però, sembra aver subito una battuta d’arresto e, dopo il poco riuscito A Dangerous Method, non è ancora stato capace di attutire il colpo. La sua ultima fatica, infatti, Cosmopolis, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo postmoderno di Don DeLillo, sembra il frutto di un autore affaticato, depresso e stanco di lottare per affermare le proprie idee.

Eric Packer è un giovane miliardario che possiede tutto ciò che potrebbe desiderare dalla vita, tranne la felicità. Abituato a vivere in assoluta agiatezza, crede fermamente di poter comprare qualsiasi cosa con il denaro, unico valore di scambio che conosce. Mentre il Presidente americano si reca a New York per una visita di piacere, bloccando l’intera città, Eric decide di farsi condurre in limousine dal barbiere di famiglia, una bottega nei quartieri più malfamati della Grande Mela. Durante il viaggio, però, il ragazzo si accorge dell’imprevedibile (?) crescita del tasso dello yen, contro la quale ha scommesso quasi tutta la sua fortuna. E così, mentre il suo ego inizia a frantumarsi, una sommossa popolare sconvolge l’ordine cittadino che, riversandosi nelle strade e attaccando i ricchi, lo conduce proprio lì dove non sarebbe mai dovuto andare.

Cronenberg è sempre stato considerato il “regista del corpo”, colui che, forse più di ogni altro, ha dato al corpo umano, animale e meccanico un’importanza eccentrica e perversa. Dopo Crash, torna ad esplorare l’universo metropolitano moderno, sempre più allucinante e allucinato, metafora della deviazione morale e sociale della sua stessa società. Il lusso della limousine bianca, perfettamente pulita e profumata, è lo specchio del suo padrone: un giovane uomo soggetto a quotidiani controlli medici per fuggire la morte più di quanto non si dedichi a vivere la sua vita (o ciò che ne rimane). Il suo viaggio di 24 ore diviene il simbolo della follia della società americana, divisa nettamente tra ricchi(ssimi) e poveri(ssimi), tra imprenditori e disoccupati, tra depressi e disperati.

Più il protagonista, un Robert Pattinson volutamente (?) afono e monocorde, sprofonda negli abissi della sua disperazione, più la sua auto viene fisicamente violentata e deturpata e i quartieri della città divengono sempre più periferici e pericolosi. Isolato ermeticamente dai rumori esterni, Eric si rende conto che l’interazione tra capitale e tecnologia, cui tanto ambiva, l’hanno reso una persona debole, senz’anima, vuota. Uomo soggetto al “fascino dell’identico”, non sa apprezzare le asimmetrie, le imperfezioni e le stranezze che esistono in natura e che differenziano ogni uomo dall’altro.

Cronenberg, dunque, sembra essere rimasto intrappolato nell’universo depravato che egli stesso ha creato: le riprese, infatti, sono statiche e contrastate, incentrate esclusivamente su campi e controcampi, tanto che il ritmo del racconto sembra prendersi, troppo spesso, delle pause (filosofiche) per riflettere.

Cosmopolis, alla fine dei conti, altro non è che una versione postmoderna dell’Ulysse di Joyce in cui i personaggi, poco più che macchiette monocromatiche, divengono proiezioni della mente malata di un eremita in malora. Le relazioni erotiche, oniriche, tragiche che intreccia con ognuno di loro, infatti, sembrano capitoli di un romanzo sconnesso e sconclusionato, la cui unica aspirazione è quella di destabilizzare il fruitore ricordandogli che “una persona può emergere con una parola ma può sprofondare con una sillaba”.


Voto: 5

Autore Articolo

Mostra 2 Commenti
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  1. Enrique scrive:

    Davvero un’ottima recensione. Chiara e coincisa ma allo stesso tempo esaustiva, cioè capace di non lasciare niente al caso. Ho visto il film e Pattinson è di una sciatteria unica. Con un altro attore forse il film poteva aspirare alla sufficienza. Forse però.

  2. Ti ringrazio Enrique!
    Sono rimasta molto delusa anch’io, Cronenberg è(ra) uno dei miei registi preferiti…

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