Killer Elite – Recensione
1980. Stanco di uccidere, Danny decide di abbandonare la vita da mercenario. Un anno dopo, Hunter, suo ex-compagno, nonché veterano, viene rapito da uno sceicco dell’Oman che vuole vendetta per l’uccisione dei suoi figli e costringe Danny a tornare in azione per eliminare tre ex-agenti del SAS, lo Special Air Service britannico, protetti dall’associazione segreta dei Feathermen.
Killer Elite
Titolo originale: Killer Elite
Genere: Action – Thriller
Regia: Gary McKendry
Interpreti: Jason Statham, Robert De Niro, Clive Owen, Yvonne Strahovski
Provenienza: Regno Unito, Australia
Durata: 116 min.
Casa di produzione: Ambience Entertainment, Palomar Pictures, Omnilab Media
Distribuzione (Italia): Keyfilms (Lucky Red)
Data di uscita: 23 settembre 2011 (USA), 1 giugno 2012 (Italia)
Il film prova ad accattivarsi il pubblico annunciando in apertura che la storia è basata su fatti reali. Solo prima dei titoli di coda, però, viene specificato che la pellicola trae spunto dal romanzo The Feather Men, ripubblicato recentemente con il titolo Killer Elite, scritto da Sir Ranulph Fiennes, ex membro del SAS passato poi al servizio del Sultano dell’Oman. I fatti riportati dallo scrittore circa il coinvolgimento delle forze britanniche nella guerra in Oman e l’esistenza dei Feather Men che proteggono gli ex-membri del SAS non sono mai state dimostrate quindi la pretesa di autenticità del film è da prendere con le molle.
Si tratta perlopiù di un action-thriller (fanta)politico che richiama le opere di Tom Clancy con qualcosina anche del Munich di Spielberg. Il regista nordirlandese Gary McKendry, qui al suo lungometraggio d’esordio, ricorre alla handycam per conferire realismo e adrenalina alla narrazione ma il ritmo sostenuto deve fare i conti con una sceneggiatura zoppicante e ripetitiva che si risolve in un intreccio piatto e privo di mordente.
Jason Statham, ormai collaudata star di action movies, veste il ruolo di Danny, cui viene fornita la risaputa e scarna caratterizzazione del killer pentito che vuole smettere ma è costretto a tornare all’opera e il pubblico dovrebbe parteggiare per lui. Oltre ad essere poco interessante, il personaggio si muove come un cyborg, protagonista di scene di combattimento spettacolari che lo vedono, tra l’altro, fare capriole volanti legato ad una sedia e stonano con l’impianto realistico della messinscena.
De Niro fa il suo compitino nel ruolo di Hunter, credibile e accattivante. Sta in scena neanche mezz’ora ed ha una sua utilità nella prima parte della storia, nonostante venga tenuto prigioniero. Più forzosa e facoltativa la sua permanenza nella seconda parte. Un Clive Owen baffuto, sfregiato e con l’occhio vitreo, tratteggia con sufficienza un membro dei Feather Men che si oppone al protagonista. Gli attori non sono aiutati dallo script, infarcito di battute stereotipate da action di serie B del tipo “Uccidere è facile. Conviverci è difficile.” o “E’ morto stecchito come Elvis.”
Sprecata anche la bella e talentuosa Yvonne Strahovski, nota co-protagonista della serie tv Chuck e del prossimo cinecomic I, Frankenstein, qui in versione contadinella innamorata in attesa che l’eroe torni a casa. Non è la donzella in pericolo della situazione, non è l’eroina, non è un bel niente. La solita presenza femminile da spingere d’obbligo nel film.
Nulla di nuovo sul piano dell’action, noioso nella componente thrilling, il film si rivela anche prolisso toccando quasi le due ore di durata, manca il bersaglio come mezzo d’intrattenimento e fallisce come strumento di denuncia. Trascurabile.








