Il Dittatore – Recensione in anteprima
Era l’ormai lontano 2006 quando Larry Charles raggiunse il successo mondiale con un film innovativo e irriverente come Borat. Inventando un format tanto insolente quanto spassoso, il regista scelse di affidare l’intera riuscita della pellicola all’allora esordiente Sacha Baron Cohen (con alle spalle piccole comparsate in Ali G e Ricky Bobby).
Il Dittatore
Titolo originale: The Dictator
Genere: Commedia
Regia: Larry Charles
Interpreti: Sacha Baron Cohen, Ben Kingsley, Jason Mantzoukas, Anna Faris
Provenienza: USA
Durata: 83 min.
Casa di produzione: Four by Two Films, KanZaman
Distribuzione (Italia): Universal Pictures
Data di uscita: 15 giugno 2012 (Italia)
Il mix letale di sfrontatezza, impertinenza e irriverenza, valsero un sequel, Bruno, meno interessante ma ugualmente fortunato. Dopo 3 anni di assenza dalla cabina di regia, Larry Charles torna dietro la macchina da presa per dirigere il suo attore feticcio ne Il dittatore, trasposizione cinematografica del best seller Zabibah and The King di Saddam Hussein.
Il Generale Ammiraglio Aladeen, Leader Supremo per via ereditaria della Repubblica di Wadiya, è un uomo arrogante e presuntuoso che condanna a morte chiunque provi a contraddirlo. Ignorante fino al midollo, il dittatore vive di razzismo e maschilismo, convinto che le donne istruite siano come “scimmie sui pattini”.
Quando è costretto a recarsi a New York per dimostrare ai rappresentanti dell’ONU di non possedere armamenti nucleari, Aladeen viene trapiantato in un ambiente completamente estraneo, in cui gli abitanti non sono disposti ad assecondare i suoi vizi, anzi… Rimanendo vittima di un complotto, il Leader Supremo, privato di barba e vestiti, dovrà rinunciare a tutto per evitare che la sua dittatura venga trasformata in una (apparente) democrazia.
Nessuno meglio di Sacha Baron Cohen poteva riuscire a trovare il modo giusto per interpretare un personaggio che, parodiando i dittatori mediorientali (e non) dei nostri tempi, primi su tutti Saddam Hussein, Gheddafi e Ahmadinejad, riuscisse a rendere credibile una cultura retrograda e primitiva. Capace di dominare qualsiasi muscolo della faccia, l’attore britannico è dotato di una mimica facciale e di una gestualità snodata da fare invidia persino a Jim Carrey.
Abbandonate le numerose gigantografie della sua persona, i marmorei monumenti celebrativi e gli innumerevoli sosia pronti a farsi sparare nella testa al posto suo, Aladeen finirà in America, “la terra costruita dai neri ma divenuta proprietà dei cinesi”. E quando le canzoni più popolari dei REM smetteranno di essere tradotte in arabo per tornare ad essere cantate nella loro lingua madre, il “cane pazzo del Nord Africa” dovrà fare i conti con un mondo invaso da vegani, ecologisti, comunisti e, persino, femministe che rifiutano di farsi la ceretta.
Trapiantando una della concezioni più arcaiche di sempre nella metropoli più moderna del mondo, dunque, Larry Charles continua il filone intrapreso con Borat ma, a differenza del passato, non permette l’evoluzione della storia e dei suoi protagonisti, facendoli rimanere sempre fermi nello stesso punto, intrappolati nei propri principi e risucchiati da un vortice oscuro di ignoranza e impertinenza.
Aladeen, infatti, nonostante le apparenze, rimane il burattino altezzoso e senza anima che era all’inizio, seppur con la consapevolezza maggiore che tra la propria dittatura e la stimata democrazia americana ci sia ben poca differenza, perché chi governa è sempre più egoista di quanto voglia far credere.