To Rome with Love – Recensione in anteprima
Dopo ben quattro film girati a Londra, uno in Spagna ed uno a Parigi, Woody Allen, regista che aveva legato le proprie opere soprattutto alla sua New York, arriva a Roma per dirigere e interpretare una commedia romantica in quattro episodi con un cast sontuoso che vede tra gli altri il nostro premio Oscar, Roberto Benigni.
To Rome with Love
Titolo originale: To Rome with Love
Genere: Commedia
Regia: Woody Allen
Interpreti: Woody Allen, Roberto Benigni, Alec Baldwin, Penelope Cruz, Jesse Eisenberg, Ellen Page, Alessandra Mastonardi, Antonio Albanese
Provenienza: USA – Italia – Spagna
Durata: 100 min.
Casa di produzione: Gravier Productions, Mediapro, Medusa Film
Distribuzione (Italia): Medusa Film
Data di uscita: 20 aprile 2012 (Italia), 22 giugno 2012 (USA)
La Roma presentata da Allen sullo schermo denota fin da subito una serie di cliché abbastanza banali, sia nei vizi che nelle virtù nostrane. Volare di Domenico Modugno, usata per i titoli di testa, introduce lo spettatore nel paese del sole e dell’amore, con tanto di vigile urbano in veste di romantico narratore e, sullo sfondo, panoramiche e ameni scorci da cartolina. L’Italia delle escort e della stampa scandalistica vien fuori in maniera più superficiale, d’altronde lo scopo dichiarato del regista era quello di realizzare un film d’intrattenimento, non un’opera che s’interrogasse sulla politica e la cultura del nostro paese.
Se Allen ha una media di un film all’anno in veste di regista, non tornava però a recitare da ben sei anni, dai tempi di Scoop. Qui si ritaglia il ruolo di impresario di musica operistica in pensione, sbeffeggiato per alcune messe in scena troppo azzardate, che scopre il talento canoro del futuro consuocero italiano, impresario di pompe funebri, la cui voce da tenore salta fuori solo quando è sotto la doccia. Allen riserva per sé tutte le migliori battute del film, strappando qualche risata, ma la vicenda è prevedibile, priva di grossi colpi di scena e finisce a tarallucci e vino. Leo Gullotta eredita dallo scomparso Oreste Lionello il ruolo ingombrante di doppiatore di Allen e se la cava piuttosto bene anche se il doppiaggio del film in generale lascia molto a desiderare.
L’episodio con Roberto Benigni vede il “Piccolo Diavolo” toscano interpretare un uomo qualunque, mediocre, prevedibile, la cui opinione non interessa a nessuno. La storia prende una piega surreale quando il protagonista diventa celebre senza alcun merito, ritrovandosi assediato da fans, giornalisti che vogliono conoscere i particolari più futili della sua vita ed escort che gli si concedono facilmente. E’ una riflessione cinica ma risaputa sulle due facce della medaglia della celebrità. Benigni va a singhiozzo. Troppo punto e virgola nei dialoghi, più divertente quando viene lasciato a briglia sciolta, come quando tenta di attirare l’attenzione della gente nel traffico di Roma.
Nella terza storia, Jesse Eisenberg è uno studente di architettura felicemente fidanzato che un giorno incontra un architetto di successo americano, interpretato da Alec Baldwin, che diventerà il suo guru sentimentale comparendogli come entità astratta. A complicare la situazione e a far perdere la testa al giovane arriva una deliziosa Ellen Page nel ruolo di un’attrice alle prime armi particolarmente disinibita. E’ l’episodio che denota maggior caratura attoriale. La coppia Eisenberg-Baldwin è affiatata ed Ellen Page è ben in parte. Purtroppo si tratta del classico schema trito e ritrito “l’erba del vicino è sempre più verde” con il risvolto “chi s’accontenta gode”. Niente di più.
Un tantino meglio l’episodio che ha per protagonista una coppia di sposini timorati di Dio. Lui, interpretato da Alessandro Tiberi, finisce suo malgrado alle prese con una prostituta, la sexy Penelope Cruz. Lei, Alessandra Mastronardi, viene prima sedotta da un viscido attore, il gigioneggiante Antonio Albanese, e poi salta fuori anche Riccardo Scamarcio. Sembra inizialmente la solita commedia degli equivoci, con lo sposino che deve spacciare la prostituta come sua moglie con i parenti. Poi le avventure extraconiugali dei due coniugi avranno qualche sviluppo inatteso per quanto tirato un po’ per i capelli.
Un Woody Allen fiacco trascina un film deludente e povero di idee. La cornice romantica e poetica vorrebbe omaggiare il nostro paese ma finisce per essere soffocata da irritanti stereotipi. Così così il cast.
Una roma come solo Allen poteva descrivere. Fa diventare eccezzionali anche i vigili… nella fattispecie pierluigi marchionne che ha recitato molto bene peccato per il doppiaggio…Grande Woody
Io credo che Allen abbia evitato il più possibile gli stereotipi. La scena col vigile è una bella invenzione venutagli sul momento durante le riprese oltre che un omaggio a Sordi. Il film si apre con un inquadratura fatta da una macchina di una parte dell’Altare della Patria, per passare subito al vigile. Poi si introducono le quattro storie, e gli unici monumenti “famosi” si vedono per un attimo e giustificati dal fatto che Eisemberg (un architetto, tra l’altro) fa da Cicerone a Ellen Page e la Mastronardi si perde. Non c’è un’immagine di Roma che sia gratuita e non giustificata narrativamente e se c’è ditemi qual è. Allen è troppo intelligente per non saper evitare dei cliché. C’è sicuramente una stilizzazione nei costumi, che ci fa sembrare più arretrati ed è voluta, non clichetica. E tutti gli omaggi al cinema italiano che ci sono? E la sapienza nel saper gestire una coralità di attori magistralmente diretti (“così così”?!). Persino i meno bravi sembrano saper recitare da sempre. Insomma, in un film che deve divertire, mi sembra che ci sia anche molto da riflettere se c’è un signor nessuno che diventa famoso senza alcun motivo, e si vive di escort celate e di falsa morale “casa e chiesa” che fa da copertura. Bisogna scavare di più dietro l’apparente leggerezza di questo grande regista. Dalla tua recensione, sembra che ne esca fuori più un film terribilmente clichetico come “Mangia, prega, ama”.
Non sono d’accordo. E il problema, come ripeto, non sono tanto gli eventuali cliché che fanno comunque da cornice. Il problema sono le quattro storie raccontate da Allen che vivono di dinamiche abbastanza banali e risapute. A tratti, sembra di guardare una fiction di Mediaset o della Rai. E’ un’opera strutturalmente molto fragile. Qualcuno l’ha addirittura definito “il peggior Allen di sempre”, il che mi sembra esagerato, ma la stanchezza del regista l’ho avvertita eccome. Anche a freddo la mia opinione sul film non cambia.
“A tratti, sembra di guardare una fiction di Mediaset o della Rai”. Perché, la nostra non è una società che vive di fiction e momenti superficiali? Non è il film che è superficiale, e che ci incornicia in storie superficiali, e questo evidentemente ha dato fastidio. E poi, quanto alla realizzazione, sono stata sul set: lunghissime preparazioni per trovare i giusti punti di luce. Le avete viste la qualità dell’immagine e le recitazioni di una fiction? Dai, stiamo esagerando. In conclusione, se questo è un film stanco, con quattro storie da cui potrebbero essere tratti altri 4 film di un normale regista, non vedo come potrebbero essere giudicati quei film che davvero non hanno neanche un’idea o una trovata.