La Donna in Nero – Recensione in anteprima
La Hammer, storica casa di produzione di celebri film horror, è tornata all’opera nel 2010, dopo trent’anni di inattività, portando sullo schermo Let me in, remake dell’omonima pellicola svedese, e The Resident nel 2011. Quest’anno tocca invece a La Donna in Nero, celebre romanzo horror-gotico di Susan Hill, pubblicato nell’83, che ha già goduto di trasposizioni teatrali, televisive e radiofoniche ed approda per la prima volta sul grande schermo.
La Donna in Nero
Regia: James Watkins
Interpreti: Daniel Radcliffe, Ciaràn Hinds, Janet McTeer, Liz White..
Provenienza: Regno Unito, Canada, Svezia.
Durata: 95 min.
Distribuzione: Videa – CDE (Italia).
Data di uscita: 2 marzo 2012 (Italia)
Il film è l’opera seconda di James Watkins che aveva esordito con l’horror Eden Lake. L’adattamento dal romanzo allo script porta invece la firma di Jane Goldman, già sceneggiatrice dei cinecomics Kick-Ass e X-Men: L’Inizio. Di base la storia resta la stessa. L’avvocato londinese Arthur Kipps deve recarsi in un piccolo villaggio per sistemare alcune questioni legali della defunta proprietaria di Eal Marsh House. All’interno della grande magione, però, il protagonista si trova alle prese con una serie di eventi inquietanti e, indagando, scopre la tragica storia della sua proprietaria e la maledizione che grava su chi ne vede lo spettro.
La differenza sostanziale tra il romanzo e il film sta nella storia di Arthur, interpretato da Daniel Radcliffe, l’Harry Potter cinematografico. Nell’opera originale, si tratta di uno scapolo che si sposerà ed avrà un figlio solo dopo gli eventi di Eal Marsh House. Nel film, invece, Arthur è vedovo, non ha ancora superato la morte della compagna, ed ha un bambino di tre anni. É così portato ad avere un’ottica differente e maggiormente sensibile verso il contatto con l’aldilà e le vicissitudini della Donna in Nero.
Purtroppo il film non funziona a causa di dinamiche narrative risapute e scontate. Ci sono tutti gli elementi del polpettone horror gotico: gli abitanti del villaggio ostili verso il forestiero, la grande villa diroccata stile vittoriano sotto un cielo plumbeo e circondata dalla palude, il cimitero popolato di spettri, la vecchia eccentrica che fa da tramite con l’aldilà e così via. La stessa Donna in Nero è la classica anima che non può riposare in pace perché le è stato sottratto qualcosa e il protagonista fa di tutto per restituirgliela senza neppure troppi intoppi.
Daniel Radcliffe è molto intenso ma per la maggior parte del film si muove col joystick. Nella maggior parte dei casi prende decisioni che una persona qualunque non prenderebbe. Compare un fantasma alla finestra? Lui si piomba in casa a vedere. Sente dei rumori terrificanti provenire da una stanza? E lui va a controllare. Non è mai terrorizzato e resta sempre troppo distaccato e freddo di fronte a presenze spettrali che pure si manifestano senza troppa inventiva: sedie a dondolo che si muovono da sole, volti riflessi nei vetri, bambole carillon che si accendono da sole e quant’altro.
Poco da dire anche sul resto del cast. Ad aiutare il protagonista c’è Mr. Daily, interpretato da Ciaran Hinds, noto caratterista nordirlandese che ha già lavorato con Radcliffe in Harry Potter. Lo abbiamo visto, tra l’altro, nel secondo Tomb Raider e in Munich di Spielberg e lo ritroveremo in John Carter e nel secondo Ghost Rider. Qui però è un personaggio puramente funzionale e d’appoggio e resta abbastanza inerte come pure tutti i personaggi di contorno che restano appena accennati.
Se il romanzo riserva un epilogo tragico e semplice al contempo, il film ne riserva uno simile nelle dinamiche ma più ambiguo. Alla fine la Donna in Nero si dimostra vendicativa o misericordiosa? L’ultima scena vorrebbe essere terribile e commovente come in The Others o The Orphanage ma lascia molto perplessi e non riesce a suscitare emozioni. Per il resto, la è regia mediocre, come pure gli effetti speciali, e la colonna sonora di Marco Beltrami non incide.
C’è tanta atmosfera ma chiunque abbia un po’ di dimestichezza con i racconti horror-gotici troverà il film banale e privo di mordente, un compitino di 95 minuti che dà la sensazione di assistere all’ennesima replica di uno spettacolo già visto un’infinità di volte.
non sono affatto d’accordo con questo giudizio: è un classico del gotico come ormai (purtroppo) non se ne vedono più in giro, troppo presi a mostrare sangue e gente che strilla a tutto spiano e senza alcun motivo.
“Purtroppo il film non funziona a causa di dinamiche narrative risapute e scontate […]” invece secondo me è proprio per queste che funziona così bene: sono i classici del gotico ma allo stesso tempo i colpi di scena e la fotografia eccellente li rivisitano e sono capaci di coglierti di sorpresa (le apparizioni improvvise del volto alla finestra, ad esempio: sono un classico però non te lo aspetti).
“Daniel Radcliffe è molto intenso ma per la maggior parte del film si muove col joystick. Nella maggior parte dei casi prende decisioni che una persona qualunque non prenderebbe. […]” ehm veramente questo lo fanno in TUTTI i film horror: aprire porte che nella realtà lascerebbero chiuse, perlustrare scantinati che nella realtà manderebbero al diavolo… se questo è un elemento negativo allora mi sa che tutti i film horror dovrebbero essere giudicati negativamente…
“Non è mai terrorizzato e resta sempre troppo distaccato e freddo di fronte a presenze spettrali […]” esattamente come tutti i vittoriani anche il protagonista è freddo e discattato. Si chiama “ambientazione” e la cura che in questo film gli è data è molto da apprezzare, al contrario delle mini-serie stile elisa di rivombrosa dove i protagonisti agiscono come gente moderna con dei costumi da carnevale invece di persone immerse nel secolo a cui appartengono. I victorians non erano spontanei, venivano cresciuti con l’idea che reprimere le proprie emozioni fosse un atto dovuto di civiltà e buon senso, le donne non andavano in giro scollacciate e con i capelli al vento e gli uomini non piangevano. Giusto o sbagliato, che noi persone del 21esimo secolo lo capiamo o meno, questo era il modo di vivere dell’epoca e se si vuole ambientare un film in epoca vittoriana e nel mondo anglo-sassone, bisogna tenerne conto.
L’unica cosa su cui concordo è sul finale ambiguo, ma non è vero che non lascia emozioni né che la regia sia mediocre. Gli effetti speciali sono pochi ma non privi di significato e sostanza e la trama, per quanto classica, non annoia. La musica non soverchia il film ma lo accompagna: è un sottofondo nei momenti di suspence, come è giusto che sia.
Alla fine del film restano diversi interrogativi: è un film alla vecchia maniera, dove l’attesa conta più del sangue, della violenza e degli effetti speciali alla Tarantino. E’ un film di nicchia perché ormai la gente è abituata ad altro, certo non è un capolavoro ma è un buon film, meglio di molti che si vedono in giro senz’altro più moderni ma certamente meno pregevoli.