War Horse – Recensione in anteprima
Il 2011 è stato un anno prolifico per Steven Spielberg. Dopo l’incompreso cinecomic d’animazione su Tintin, arriva sul grande schermo War Horse che racconta le incredibili peripezie del cavallo Joey durante la prima guerra mondiale e della sua amicizia con il giovane Albert.
War Horse
Regia: Steven Spielberg.
Interpreti: Jeremy Irvine, Emily Watson, Peter Mullan, David Thewlis, Benedict Cumberbatch, Tom Hiddleston.
Provenienza: USA
Durata: 146 min.
Distribuzione: Touchstone Pictures (Italia).
Data di uscita: 17 febbraio 2012 (Italia)
Tintin e War Horse sono usciti in USA a pochi giorni di distanza nel periodo natalizio. Il primo, visto in Italia ad ottobre, è stato un flop mentre il secondo, che da noi arriverà in febbraio, ha avuto un buon riscontro sia da parte della critica che del pubblico. Tratto dal romanzo omonimo di Michael Molpurgo del 1982, War Horse si apre in Inghilterra alla vigilia del primo conflitto mondiale.
A causa del suo orgoglio, della sua testardaggine e di qualche goccetto di troppo, il vecchio contadino Ted Narracott, interpretato da Peter Mullan, anziché acquistare una bestia da aratro investe i suoi soldi in un giovane cavallo. Rischia così di non poter far fronte ai suoi debiti e di perdere la fattoria nella quale vive con la moglie Rose, una sempre intensa Emily Watson, e con il figlio Albert, un Jeremy Irvine all’esordio sul grande schermo.
Albert, che aveva già incontrato il cavallo in precedenza, lo battezza Joey e cerca di insegnargli ad arare. Tra i due si crea un legame fortissimo e il momento in cui riescono a vincere l’ostilità del terreno da seminare con l’aiuto della pioggia è reso da Spielberg in maniera davvero epica. Fin qui il film funziona bene, anche grazie a qualche inserto comico ben equilibrato e mai eccessivo in cui la fa da padrona un’agguerritissima oca domestica.
Con lo scoppio della guerra, Ted vende Joey all’esercito inglese spezzando il cuore al figlio. Le intenzioni di Spielberg diventano chiare: usare le peripezie del cavallo per raccontare la prima guerra mondiale, un evento storico al quale vengono dedicati pochi film, soprattutto di questi tempi. Joey passa di mano in mano, dall’esercito inglese a quello tedesco per finire in una fattoria francese e tornare poi sul campo di battaglia. In questo modo possiamo conoscere i vari punti di vista del conflitto, da entrambi gli schieramenti e da parte civile.
Purtroppo, con il procedere della narrazione, le vicissitudini del cavallo denotano una serie di coincidenze eccessivamente pretestuose che finiscono per rendere la storia inattendibile. Se nell’esercito tedesco due soldati decidono di disertare, potete star certi che uno dei due cavalca Joey. Se c’è da trainare un cannone o fare qualcosa di pericoloso, tra i pochi cavalli scelti su centinaia a disposizione c’è sempre Joey. Ogni possibile sfiga e disavventura capita sempre a lui.
Fa amicizia con un cavallo nero e, guarda un po’, restano sempre insieme e non vengono mai separati. I personaggi si ritrovano tutti continuamente nello stesso posto. E gli espedienti forzosi nella sceneggiatura aumentano fino ad una parte conclusiva inverosimile in ogni suo momento. Sorvoliamo poi sul fatto che inglesi, francesi e tedeschi parlino tutti la stessa lingua e Joey tocchi delle punte d’intelligenza da far sembrare il delfino Flipper un’ameba unicellulare.
Ancor più fastidioso è il buonismo stucchevole che permea tutto il film. L’affetto che lega Albert a Joey è comprensibile ma non si capisce per quale motivo tutti quelli che incontrano il cavallo si innamorino incondizionatamente di lui. Joey resta impigliato nel filo spinato e i due eserciti la smettono di farsi la guerra per aiutarlo. E’ in atto un conflitto nel quale stanno morendo dieci milioni di persone e tutti continuano a preoccuparsi solo del cavallo.
E’ davvero un peccato perché la cornice imbastita da Spielberg è particolarmente sontuosa. La ricostruzione scenografica è suggestiva, la grande battaglia tra tedeschi e inglesi è spettacolare, un John Williams in stato di grazia ci delizia con un’ottima colonna sonora e il cast, perlopiù britannico, ce la mette davvero tutta. Spiccano in modo particolare Tom Hiddleston, il Loki di Thor, nel ruolo di un capitano inglese, la giovanissima e deliziosa Celine Buckens veste i panni di una ragazzina francese e il bravo Niels Arestrup interpreta il nonno. Buona anche la fotografia di Kaminski che però esagera in un tramonto finale che fa impallidire il cielo rosso nell’epilogo di Via col vento.
Come già accaduto a Spielberg ne La guerra dei mondi e in Indiana Jones 4, lo sforzo produttivo viene mortificato da uno script inconsistente. Il film cerca di compiacere in maniera troppo evidente un pubblico affamato di sdolcinati sentimentalismi a buon mercato e di edificanti parabole a lieto fine nelle quali i cattivi non esistono. Sceneggiatori bocciati. Spielberg rimandato.