Come vi avevamo promesso, il 2012 si apre con l’arrivo su AMF di Cinecomics, la rubrica che sta riscuotendo grandissimo successo su MangaForever. D’altronde ci sembra giusto che uno spazio nato per celebrare ed analizzare il connubio tra cinema e fumetti trovi posto su entrambi i nostri portali che si occupano dei rispettivi settori per ribadire ancor di più la perfetta simbiosi tra i due media. Nei prossimi giorni vi proporremo i primi ventuno articoli già usciti su MF e coglieremo l’occasione per ripresentarli in maniera riveduta e corretta. Un’extended cut, tanto per usare un termine cinematografico. Sarà occasione, per gli utenti di MangaForever, di riscoprire le prime ventuno analisi mentre gli amici di AnimeMovieForever avranno occasione di avvicinarsi per la prima volta alla nostra rubrica. Mettetevi comodi, buio in sala e si comincia.
Dalla carta alla celluloide. Dalle vignette ai fotogrammi. In questi ultimi dieci anni, il confine già labile tra fumetto e cinema è scomparso definitivamente. All’inizio degli anni duemila, una Hollywood sempre più priva di idee, tenuta a galla dalle trilogie di Matrix, del Signore degli Anelli e di Star wars, ha trovato nella narrativa disegnata una fonte inesauribile di nuovi concetti da sviluppare e tradurre sul grande schermo. Non che sia una novità, intendiamoci. Le trasposizioni fumettistiche sono una costante nella storia del cinema, fin dalla prima proiezione a pagamento del Cinématographe Lumière a Lione, il 28 dicembre 1895, quando venne presentato il celebre cortometraggio comico Le jardinier et le petit espiègle, tratto dalla bande-dessinée L’arroseur di Hermann Vogel.
Nei tre decenni successivi furono molte le strisce a fumetti portate sullo schermo. I più gettonati erano celebri monelli come Buster Brown, Skippy, vincitore di un Oscar per la miglior regia, o Little Orphan Annie. Eroi quali Flash Gordon, Superman, The Shadow, Dick Tracy o Agente segreto X-9, comparvero invece dagli anni ’30 in serial cinematografici proiettati ad episodi di pochi minuti che precedevano il lungometraggio in programmazione. Si trattava di prodotti abbastanza dozzinali che furono tuttavia d’ispirazione per un’intera generazione di registi. Uno su tutti George Lucas che trasse spunto da quelle storie, da quegli eroi e da quel linguaggio narrativo, per creare Indiana Jones e, a metà degli anni ’70, vista l’impossibilità di realizzare una trasposizione di Flash Gordon, optò per Star wars citando nelle ambientazioni, nei personaggi e nelle dinamiche non solo il fumetto di Alex Raymond ma anche il serial. Basti dare un’occhiata al testo scorrevole d’apertura che racconta gli avvenimenti dell’episodio precedente.
Negli anni ’50 i lungometraggi dedicati agli eroi della King Features Syndicate come Prince Valiant, Mandrake o Jungle Jim non riservarono grossi acuti e non lasciarono il segno. Fu invece il successo del film Superman and the mole men, con George Reeves nel ruolo dell’Uomo d’Acciaio, a dare il via ad una fortunata serie tv che si concluse bruscamente dopo la sesta stagione con il suicidio dell’attore.
Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 il genere assunse nuova linfa. In USA, i fumetti spopolavano sul piccolo schermo con le serie di Batman, tanto celebre quanto pacchiana, Wonder Woman e L’incredibile Hulk. Ma fu proprio in Italia che si verificò il maggior fermento creativo con le trasposizioni dei nostri eroi noir con la K, Diabolik, Kriminal e Satanik, ai quali si aggiunse il cinecomic dedicato alle divertentiSturmtruppen di Bonvi. Film sdoganati all’epoca come prodotti di serie B e rivalutati in seguito come cult.
Tante pellicole, dunque, ma nessuna che sia riuscita davvero a diventare una pietra miliare e a nobilitare il genere Cinecomic. La svolta avvenne nel ’78, quando Superman, il capolavoro di Richard Donner interpretato da Christopher Reeve, arrivò sul grande schermo battendo ogni record d’incassi ed aggiudicandosi un Oscar per gli effetti speciali. La saga dell’Uomo d’Acciaio dominò gli anni ’80, rispecchiando nel personaggio l’ottimismo del periodo.
Nei più cupi anni ’90 fu invece Batman a farla da padrone, esaltato da due kolossal gotici di Tim Burton e ridicolizzato dalle successive baracconate kitsch di Joel Schumacher. Altrettanto dark è Il corvo, passato alla storia come film maledetto per la morte sul set del protagonista Brandon Lee. In questo decennio, oltre a qualche esperimento incolore, spiccano i successi di Dick Tracy, ad oggi il cinecomic con più Oscar all’attivo, delle Tartarughe Ninja e della serie tv su Flash. Nel ’98, gli ottimi incassi di Blade, incentrato su un personaggio minore della Marvel, spingerà produttori e registi ad insistere sui personaggi della Casa delle Idee.
Gli anni duemila si aprono così con il trionfo planetario degli X-men di Bryan Singer e di Spider-Man di Sam Raimi. Hollywood ha trovato la sua gallina dalle uova d’oro ed ha avuto inizio l’invasione tuttora in atto dei cinecomics. Vengono messi in cantiere i sequel sull’arrampicamuri e sui mutanti e nuovi titoli da altre testate supereroistiche. La DC non resta a guardare e scende in campo con il ritorno trionfale di Batman, resuscitato dall’iperrealistico Christopher Nolan, e il relativo insuccesso di Superman Returns. Si aggiungono trasposizioni da graphic novel di autori cult come Frank Miller e Alan Moore o di firme meno conosciute da etichette indipendenti. E la febbre non si ferma solo agli States ma dilaga anche in Francia e in Giappone con pellicole su svariate bande dessinée e manga.
Inevitabile che un fenomeno culturale di questa portata, che segnerà in modo indelebile l’attuale epoca cinematografica, vada a confondersi con il furore della componente commerciale rendendo il pubblico meno avvezzo al media fumetto incapace di discernere l’opera di qualità, espressione sincera dello spirito e dei contenuti del materiale originale, da prodotti più superficiali, inscatolati e venduti per fare incasso.
In una continua oscillazione tra pellicole stilizzate, realistiche o estremamente autoriali, la situazione si fa ancora più complessa quando ci si interroga sull’appropriata chiave di decodificazione e traduzione da adottare e su quale sia il giusto equilibrio perché la contaminazione di un media sull’altro non risulti troppo invasiva.
Con questa rubrica tenteremo di analizzare quei cinecomics che, nel bene o nel male, hanno fatto e stanno facendo la storia del genere e concentreremo l’attenzione soprattutto sul lavoro di trasposizione, sull’attitudine e la sensibilità di sceneggiatori e registi nei confronti del materiale originale e sulla sua importanza nel processo produttivo. Ma non aspettatevi risposte certe. Quello che risulta evidente è che non c’è una ricetta per il cinecomic perfetto. Ogni trasposizione è un caso a se stante che, proprio per questo, merita un’analisi specifica.